Lo stallo nei finanziamenti sul clima alla Cop29

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La forbice tra le richieste dei Paesi in via di sviluppo e quelli più ricchi resta ampia, mentre dal G20 arriva l'invito ad accelerare. L'accordo va trovato entro il 22 novembre.

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Quest’anno più che mai i colloqui globali sul clima sono incentrati principalmente sui fondi necessari per impedire che gli effetti del riscaldamento globale accelerino.

I quasi 200 Paesi rappresentati alla Cop29 di Baku devono concordare entro venerdì 22 novembre la somma che dovrà essere erogata. A poco più di metà delle trattative, iniziate lo scorso 11 novembre, le parti restano molto distanti: da circa 100 miliardi a oltre un trilione (mille miliardi) di dollari in potenziali promesse annuali.

È in gran parte una battaglia politica tra Paesi ricchi, che hanno a lungo fatto affidamento su fonti energetiche inquinanti e hanno le risorse per allontanarsene, e Paesi poveri, che faticano a distaccarsene e subiscono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico.

Ma se questi, per espandersi, continueranno a utilizzare petrolio, gas e carbone invece che alternative pulite, le emissioni globali continueranno ad aumentare, danneggiando tutti. Per questo motivo c’è bisogno di un fondo compensativo.

Il segretario di Stato tedesco Jochen Flasbarth ha riassunto la situazione in questo modo: “Chi non riesce a fare uno sforzo costruttivo, sta in realtà giocando con il fuoco su un mondo già in fiamme”.

A tutto ciò si aggiungono le complicazioni dovute alle guerre e le incertezze derivanti dalle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Non sorprende, quindi, che la Cop29 sia a tutti gli effetti in una fase di stallo.

Ma di quanti soldi stiamo parlando? Mentre il tempo stringe, trovare una risposta univoca si fa sempre più complesso. Paesi ricchi come gli Stati Uniti e molte nazioni europee vorrebbero impedire che l’obiettivo globale per la finanza pubblica e gli investimenti privati ​​che essa incoraggerebbe superi troppo il livello attuale, ovvero 100 miliardi di dollari all’anno.

Contemporaneamente, un blocco di 134 Paesi in via di sviluppo afferma che l’obiettivo annuale a partire dal 2026 dovrebbe essere di almeno 1,3 trilioni di dollari.

Sullo sfondo, l’ultimo rapporto di un gruppo di esperti sostenuto dalle Nazioni Unite, che afferma come l’obiettivo di 100 miliardi debba triplicare entro il 2030 e che il denaro complessivo, incluso il capitale privato, debba raggiungere 1 trilione di dollari per aiutare i Paesi in via di sviluppo (esclusa la Cina) a soddisfare il loro crescente fabbisogno energetico con fonti di energia più pulite.

Gli Stati Uniti e altre nazioni ricche chiedono inoltre che il gruppo di Paesi donatori venga allargato, così da dividere maggiormente la spesa. L’obiettivo, non tanto celato, è far entrare la Cina tra i contributori.

I negoziatori delle nazioni occidentali sostengono che il gigante asiatico, così come alcuni ricchi stati del Golfo come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, debbano farsi avanti con promesse finanziarie, perché sono “in grado di contribuire”. Ma questi Paesi non fanno parte del gruppo ufficiale dei donatori stando ai termini del trattato sul clima delle Nazioni Unite del 1992.

Ripensare le conferenze sul clima

Secondo un gruppo di influenti esperti di politica climatica, i futuri vertici delle Nazioni Unite sul tema andrebbero ripensati. Si tratta, tra gli altri, dell’ex segretario generale Onu Ban Ki-moon, l’ex presidente dell’Irlanda Mary Robinson, l’ex responsabile delle Nazioni Unite per il clima Christiana Figueres e il famoso climatologo svedese Johan Rockström.

Innanzitutto, si ritiene che le Cop dovrebbero tenersi solo in Paesi in grado di dimostrare un chiaro sostegno all’azione per il clima e di avere regole più severe sulla lobby dei combustibili fossili.

Le ultime due conferenze si sono infatti tenute in due Stati che basano la propria economia sulle fossili, come l’Azerbaigian e gli Emirati Arabi.

Il gruppo ha dunque scritto all’Onu chiedendo che l’attuale processo di “conferenze delle parti” annuali nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici venga semplificato e che le riunioni si svolgano più frequentemente, dando più voce ai Paesi in via di sviluppo.

“È ormai chiaro che le Cop non sono più adatte allo scopo”, hanno scritto.

Una sponda a questa argomentazione arriva dai dati analizzati dalla coalizione di attivisti Kick Big Polluters Out, secondo cui almeno 1.773 lobbisti del carbone, del petrolio e del gas si sono registrati per la Cop29.

Il clima al G20 in Brasile

La prossima edizione dei colloqui sul clima, la Cop30, si terrà in Brasile, dove ieri si è invece concluso il G20. Il presidente Lula ha esortato i leader delle principali economie del mondo ad accelerare nei loro obiettivi climatici nazionali, invitandoli a raggiungere le emissioni nette pari a zero con cinque-dieci anni di anticipo rispetto al previsto (entro il 2040 o il 2045, anziché entro il 2050).

La dichiarazione congiunta finale chiede di “aumentare rapidamente e sostanzialmente i finanziamenti per il clima” passando dalla scala dei miliardi a quella dei trilioni per contrastare il riscaldamento globale.

Il documento ha inoltre esortato i negoziatori alla Cop29 in corso in Azerbaigian a raggiungere un accordo su un nuovo obiettivo finanziario che stabilisca la quantità di fondi che le nazioni ricche devono fornire a quelle in via di sviluppo.

“I leader del G20 hanno inviato un messaggio chiaro: non andate via da Baku senza un nuovo obiettivo finanziario di successo, nel chiaro interesse di ogni Paese”, ha affermato il capo per il clima delle Nazioni Unite, Simon Stiell, in una replica al comunicato del G20.

Stanotte, attorno alla mezzanotte di Baku (le 21 in Italia), la presidenza azera renderà pubbliche le prime bozze di accordo. Non resta che attendere la risoluzione finale di venerdì per scoprire se l’obiettivo sarà stato centrato o no.

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